Realtà vs finzione ai tempi dei social
“È molto frequente in chi scrive evocare come una delle ragioni all’origine del proprio mestiere una crepa nel mondo che ci era armoniosamente appartenuto fino a quel momento, un imprevedibile movimento tellurico, una rottura improvvisa dell’equilibrio che regolava la propria vita, e che più che mai nell’infanzia, quando ancora si confonde il presente con il per sempre, si ritiene immutabile.
Così la scrittura nascerebbe dal tentativo, che forse è soltanto un’illusione, di mettere ordine: le parole come mattoncini di universi paralleli (di cui siamo noi gli unici creatori), di architetture immaginarie dentro le quali dar vita a ciò che vogliamo che sia per sottrarci a quel che è. Ma il bisogno di raccontare storie, così profondamente radicato nella nostra mente, è per alcuni anche uno strumento di sopravvivenza: costruendo un altrove è possibile reinventare una realtà altrimenti insopportabile, e con la fantasia trasformare incessantemente quel che abbiamo vissuto, fino ad avvicinarci alla verità. Per renderla più comprensibile. O forse solo più tollerabile.”
Questo brano tratto da “Il gusto di una vita” di Iaia Caputo mi ha fatto riflettere su ciò che raccontavo ai tempi d’oro del mio blog e ancora oggi, seppur sporadicamente, sui social. Nei giorni scorsi è scoppiato uno “scandalo” intorno al caso di Julia Elle, nota mamma influencer che avrebbe mentito su alcuni fatti importanti relativi alla sua vita privata.
Personalmente la cosa non mi ha sconvolta affatto: Julia è un’attrice e il suo progetto non è stato il blog di una mamma che scriveva dal divano dopo aver messo a letto i figli come facevamo noi della prima generazione. È stato un progetto creato a tavolino. Non l’ho mai seguita perché essendo più vecchia e con figli più grandi avevo ormai altri interessi, ma mi sono imbattuta in alcuni suoi video e l’ho anche vista ad un mammacheblog (chi se li ricorda?). L’ho sempre trovata piacevole e divertente.
Quello che non avevo capito, è che la vita che raccontava era spacciata per vera. Al mio occhio distratto appariva come una sorta di autofiction e penso che avrebbe funzionato benissimo anche in quel modo.
Ma non è di questo che volevo parlare. Pensavo, più in generale, al divario tra realtà e finzione nelle narrazioni online. Ai tempi del blog parlavo quasi esclusivamente di ciò che – della mia vita – mi piaceva. Le gioie della maternità, la vita bucolica in campagna, eccetera. Alcuni (o meglio alcune) mi punzecchiavano: “Per fare tutte quelle cose con i figli avrai uno stuolo di tate e di cameriere” e “Perché non parli mai di tuo marito?”
Certo, mi è capitato che qualcuno mi pulisse la casa o mi guardasse saltuariamente i bambini ma la verità è che la casa era un disastro e che i miei figli hanno trascorso il 99,9% del loro tempo con me. E che, nonostante la distanza che già mi separava da quello che poi sarebbe diventato il mio ex marito (avete capito, adesso, perché non ne parlavo?) quelli sono stati in assoluto gli anni più belli della mia vita.
Belli nonostante la solitudine e le difficoltà. Belli nonostante le liti con mia madre proprio perché secondo lei trascuravo la casa. Belli perché avevo sempre desiderato “fare la mamma” e mi stavo godendo i miei figli al 100%, con gli alti e bassi del caso, ma mettendo sempre l’accento sugli alti. Perché quello che raccontavo a chi mi leggeva lo raccontavo prima di tutto a me stessa.
Non ho mai mentito ma non ho mai nemmeno raccontato “tutta la verità”. Ho raccontato quello che contava per me. E ho nascosto sotto il tappeto quello che io stessa non volevo vedere.
Tornando a Julia ma anche alle mie presunte tate e cameriere, non ho mai pensato che le persone mi seguissero perché ero brava e facevo tutto da sola. Mi seguivano – credo – perché davo loro delle idee, perché la mia “fuga dalla città” era anche il loro sogno, perché condividevo informazioni utili. E poi, certamente, anche perché si sono affezionate a me e ai miei figli.
I miei punti di forza erano le attività creative con i bambini e la divulgazione su temi come yoga, Montessori e altre pedagogie “alternative”, i tutorial di maglia e cucito… davvero il fatto di avere la cameriera avrebbe reso i miei contenuti meno interessanti? Non credo proprio.
Ed è stato proprio questo, secondo me, l’errore di Julia e del suo team (ma forse più del suo team perché alla fine non so quanto dipendesse da lei): pensare che ci fosse bisogno di spacciare tutto per oro colato. In fondo non seguiamo tante serie affezionandoci ai personaggi pur sapendo benissimo che sono inventati? C’è davvero bisogno di mischiare tutto?