Natale da divorziati
La decisione di separarmi è stata maturata dopo una (fin troppo) lunga riflessione. Fin troppo perché ho fatto l’errore di molte donne, e cioè aspettare che i figli crescessero. Errore da non fare assolutamente, e lo dico non solo per esperienza mia ma anche dopo essermi guardata lungamente intorno. I bambini piccoli sembrano soffrire di più perché mostrano la loro sofferenza. Il loro pianto ci spezza il cuore e non vogliamo vederlo.
Gli adolescenti invece si tengono tutto dentro, ma hanno già i loro personali tormenti, e questo è il periodo peggiore per aggiungerne altri. Se proporio si è genitori giovanissimi e si è già tenuto duro per anni, si può forse stringere i denti fino a che i figli non saranno autonomi, ma il rischio in questa fase e di essere pesantemente giudicati, il che può incrinare il rapporto, anche definitivamente.
Morale della favola: non esiste il momento giusto, ma credo che – paradossalmente – per i figli più piccoli sia più facile adattarsi al cambiamento, e quelle lacrime che tanto temiamo permettono a loro di sfogare la loro tristezza.
Ma torniamo all’argomento di questo post: il Natale quando si è divorziati o separati. Le opzioni sono tre. Se entrambi i genitori sono persone intelligenti e se la separazione è ben digerita, ci si può riunire. Questa è senz’atro l’opzione migliore. Noi lo abbiamo fatto il primo anno, quando ci sembrava di poter essere dei “separati modello”, ed è stato molto bello.
Se i genitori non vanno d’accordo, se ci sono nuovi compagni che non apprezzano la reunion, eccetera, si può optare per il 24 con uno e il 25 con l’altro, oppure un anno con mamma e uno con papà. Per i figli in genere la cosa non è troppo problematica se entrambi i genitori sono sereni. Se invece traspare rancore o tristezza, il Natale diventa un incubo.
IN quanto mamma (e mamma chioccia) ho sofferto tantissimo trovandomi a trascorrere il 24 o il 25 senza i miei ragazzi, per non parlare dell’anno in cui il loro padre li ha portati in vacanza per un mese a cavallo di Natale, capodanno, e compleanno della piccola. Ci ho messo diversi anni a rendermi conto che la cura per il mio cuore spezzato era il concetto buddista di non attaccamento. Non ai miei figli, ma a una data prestabilita. Mi sembrava stupida l’idea di festeggiare il Natale in una data diversa da quella reale, ma soprattutto sapevo che una soluzione del genere non avrebbe alleviato la tristezza del vero giorno di Natale (o vigilia) senza di loro.
Poi il tempo passa, le ferite si cicatrizzano, si invecchia e si diventa un po’ più saggi. Si impara a cercare una buona compagnia – sono tante le persone che a Natale soffrono perché non possono stare con coloro che amano – o un buon libro o, perché no, un bel viaggio o una gita fuoriporta. Anche servire il pasto a chi non ha di che mangiare è un’esperienza potente che rimette le cose in prospettiva. Imparare a godersi i figli quando ci sono e, il resto del tempo, a prendersi cura di sé preparandosi a quando viaggeranno, vivranno lontano, andranno dai genitori della fidanzata o del marito.
Prendersi cura di sé per imparare a non dipendere da un numero sul calendario.
E voi? Come gestite la lontananza dai vostri cari durante le feste? Avete altre idee per chi si ritroverà solo?