Madre tatuata, madre snaturata?

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Mi sono sempre piaciuti i tatuaggi. E non la farfallina di Belen o la stellina sulla caviglia, ma proprio quelli grossi e vistosi. Eppure ho sempre guardato con scetticismo chi li faceva, chiedendomi come facessero ad essere sicuri di non pentirsene in futuro.

Quando mia sorella, ancora ragazzina, è tornata a casa con un tribale sulla pancia, mia madre ed io siamo rimaste allibite abbiamo profetizzato gli effetti catastrofici di un eventuale aumento di peso o di una gravidanza. Lei ci ha chiuso prontamente la bocca dicendo di non volere figli, e i fatti hanno dato torto sia a lei che a noi quando a novembre ha dato alla luce la piccola Maria Vittoria. Il tatuaggio è ancora lì, e non fa una grinza. E anche se fosse – mi chiedo oggi – che male ci sarebbe?

Mi sono sempre piaciuti i tatuaggi ma non ho mai pensato di farne uno semplicemente perché sono una persona che cambia spesso idea e il tatuaggio è per sempre.

Poi sono cresciuta (o forse dovrei dire “invecchiata”?), sono maturata, e ho imparato a conoscermi meglio. Continuo a cambiare idea spesso e volentieri, e rivendico una certa dose di incoerenza. Perché la coerenza non è umana non è una dote che mi interessa. Anzi, secondo me non è nemmeno una dote. La coerenza a tutti i costi è una gabbia. Ma questo è un altro discorso.

Maturando, la brava ragazza un po’ bacchettona si è decisamente ammorbidita, e ho fatto cose alla soglia dei 40 anni che non avrei mai osato fare a 20. Una di queste è proprio il tatuaggio.

La folgorazione è arrivata durante il nostro viaggio a Mauritius. Un giorno ho deciso che avrei fatto un tatuaggio, e sapevo esattamente cosa volevo tatuarmi: un fiore di loto.

Il loto nasce nel fango e lotta con tutte le sue forze per raggiungere la luce del sole. Una volta arrivato in superficie si crea una bella foglia larga e impermeabile che lo protegga da quel fango e sboccia in tutto il suo splendore. Non è un’immagine bellissima? Una metafora meravigliosa?

Sono andata da un tatuatore e ho sfogliato il suo catalogo ma, sebbene avesse un certo numero di fiori di loto, non ho trovato quello che faceva per me. Così ho iniziato a cercare in rete, e ho trovato il disegno giusto. Intanto mio marito e mio figlio mi guardavano sconcertati: «Non hai mai parlato di farti un tatuaggio» diceva Jean. «Sei sicura?». Anche Leonardo era poco convinto, mentre le bambine erano entusiaste.

«Sono sicura». Ho preso appuntamento Rondy e ne sono uscita con il mio fiore di loto tatuato sulla schiena, certa che quel simbolo non avrebbe mai smesso di ispirarmi. E poi era anche un meraviglioso ricordo di viaggio.

Ormai ho un’età in cui non rischio più di essere penalizzata perché ho un tatuaggio, né mi preoccupo di come apparirà quando sarò vecchia. Negli anni ho preso confidenza con il mio corpo e mi sento autorizzata a decorarlo in modo rispettoso. Un tatuaggio a quarant’anni (vabbè, trentanove) è una scelta matura e consapevole. O forse è solo una delle ca(vol)ate adolescenziali che non ho mai fatto da ragazzina.

Tornando a casa ho scoperto che la mia scelta non era poi così originale. La crisi adolescenziale alla soglia dei quaranta è una cosa più comune di quanto pensassi, e ho visto altre donne della mia generazione fare la stessa follia: c’è chi è davvero “rock”, chi opta per la discrezione e chi (a parer mio) scivola nel cattivo gusto. E poi c’è lei, che ne aveva già altri e li portava con classe, eche ha fatto di recente un bellissimo tattoo di famiglia. Insomma, se volevo fare  una cosa originale… c’est raté, come dicono i francesi.

Fortuna che il mio unico obiettivo fosse imparare ad ascoltare ed esprimere la mia voce interiore, liberandomi dai condizionamenti e dalla paura del giudizio degli altri.

E voi? Avete uno o più tatuaggi? Mai e poi mai? O «vorrei ma non oso»?