La nostra esperienza al centro Astalli
Nei giorni scorsi ho pubblicato due foto scattate al centro Astalli, durante il nostro turno di servizio alla mensa. Nei commenti Ester scrive:
Be’ però Claudia dai… cos’è questo post striminzito? Su, raccontaci qualcosa di più, come hai presentato l’esperienza a Gloria? Come l’ha vissuta? Con che occhi una bambina dei nostri tempi vede una situazione così tanto diversa dalla sua? Aspetto con ansia un postONE
In realtà non avevo ancora deciso se farne un post. Ho ceduto alla smania di condivisione tipica di noi blogger, pubblicando le foto in tempo reale. Ma rimbombava nella mia mente una frase detta da un amico qualche tempo fa: «una buona azione si fa e non si dice». Altrimenti, secondo lui, non è più generosità ma vanità.
Riflettendoci bene, mi sono accorta che in realtà stava solo cercando di sminuire una buona azione che porta avanti da anni e della quale, per umiltà o per scarsa fiducia in se stesso, non riesce ad essere fiero.
Allora, cosa fare? Sbandierare ai quattro venti il nostro turno di servizio alla mensa dei rifugiati, con il rischio di sembrare una megalomane narcisista? Sì. Perché il gioco vale la candela. Perché questo blog lo leggete in tanti e magari a qualcuno verrà voglia di raccogliere il testimone e di provare questa esperienza. Se qualcuno vorrà leggerlo come un atto di vanità, pazienza.
Ho conosciuto in Centro Astalli tramite Chiara Peri, che ve ne ha parlato qui. Quando l’ho incontrata per la prima volta, le ho espresso tutta la mia ammirazione e le ho detto che non potrei mai fare il suo mestiere. Sono troppo sensibile, sono una specie di spugna emotiva, non riuscirei mai a scrollarmi di dosso tutte quelle storie difficili. Passerei la mia vita a piangere.
Chiara mi ha risposto che quelle con cui ha a che fare ogni giorno non sono solo storie drammatiche, ma anche storie di successo, storie a lieto fine. Al quale, aggiungo io, lei e i suoi colleghi contribuiscono con un ruolo fondamentale.
Tornata a casa, ho ordinato il loro libro «Terre senza promesse». Il libro mi ha lasciato addosso la stessa sensazione trasmessa da Chiara. Non tristezza ma fiducia, ottimismo.
Spesso ci chiediamo, tra le mille onlus/organizzazioni/associazioni che fanno del bene, come scegliere quella da sostenere. Nel dubbio, non facciamo nulla. Ecco, un modo per scegliere può essere questo: lasciarsi guidare dalle persone che la vita mette sul nostro cammino.
Ho chiesto a Chiara di farmi sapere in che modo potevo sostenere il centro Astalli.
Qualche tempo dopo, lei mi ha mandato un banner che ho inserito nella sidebar. Poi mi ha invitata a partecipare a Liberericette, donando l’equivalente della spesa necessaria alla realizzazione della mia torta.
In cima a tutti i post che aderivano all’iniziativa era scritto:
Questo post sostiene il centro Astalli, donando l’equivalente della spesa necessaria per la realizzazione della ricetta.
Chiunque lo desideri potrà partecipare a un turno di servizio presso la mensa del Centro Astalli di Roma e/o a un incontro sul tema dei rifugiati organizzato da Chiara Peri, per conoscere meglio questa realtà.
Il turno di servizio mi sembrava un’idea fantastica per immergersi in questa realtà senza essere schiacciati dal dramma delle persone che si hanno di fronte. Con la consolazione che si sta facendo qualcosa per loro.
Alla prima occasione di volare a Roma, quindi, ho chiesto di poterlo fare.
L’accordo era che Gloria mi aspettasse in uno degli uffici adiacenti. Devo dire la verità, ero un po’ preoccupata. Non sapevo come fosse strutturata la mensa, quanto lei sarebbe stata lontana da me, se avrebbe avuto la possibilità di raggiungermi in caso di bisogno, se ci sarebbe stato qualcuno con lei, se avrebbe intralciato il lavoro di chi le stava accanto.
Rassicurata da Don Camillo, ho accettato la sfida.
Io e Gloria siamo arrivate al Centro Astalli alle 15, sotto una pioggia battente. Appena entrata, un volontario mi ha chiesto se volevo mangiare. Ho risposto che ero lì per dare una mano.
Hanno sistemato me e Gloria nell’ultima postazione, quella delle mele.
La mensa è strutturata come un self-service, nel quale ciascuno arriva con un vassoio. Ogni volontario consegna ai rifugiati una cosa diversa (pasta, insalata, pane… e, in ultimo, la frutta).
Noi eravamo, appunto, in fondo a questa catena. Non so come mai, forse per un disguido, Gloria abbia finito per rimanere insieme a me (non solo, a svolgere tutto il lavoro al posto mio. A me non restava che prendere una cassa di mele nuova quando la precedente era finita). Non so se sia prevista la possibilità di portare bambini alla mensa del centro Astalli o se il nostro sia stato un fortuito strappo alla regola.
So che questa casualità ha avuto un effetto molto forte su tutti, quel giorno. Su di me, che non dovevo lasciare mia figlia in un posto che non conoscevo, e che assistevo ad una scena meravigliosa, commovente. Su di lei, che ha notato come tutti prendessero tutto, senza “non mi piace”. Un conto è parlare ai nostri figli dei «bambini che muoiono di fame» per insegnare loro a non sprecare; un altro è metterli, fisicamente, di fronte (e al servizio) di chi non può permettersi di scegliere.
Ma soprattutto per i rifugiati che erano alla mensa quel giorno. I sorrisi che comparivano sui loro volti quando si ritrovavano di fronte a quella piccola volontaria resteranno impressi nella mia mente e, ne sono certa, anche in quella di Gloria.
Quel giorno, alla mensa del centro Astalli, compreso nel menù c’era il sorriso finale. Non vi sembra un regalo meraviglioso?
Chi volesse provare questa esperienza può scrivere a volontari@fondazioneastalli.it.