Elogio Della Maglia
(Leonardo e Gloria indossano cappello,
sciarpa, guanti e pantaloni fatti da mamma)
Gli ultimi mesi sono stati molto intensi, sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico. Forse fin troppo intensi. Nelle ultime settimane, il riposo è diventato per me una necessità. Dopo l’incidente di JM, riposarmi è diventato impossibile. Purtroppo sono una perfezionista, e non so stare seduta se ci sono in giro cose da raccogliere, da sistemare, da fare. Ora mi tocca fare anche un po’ l’uomo di casa ed assolvere, oltre ai miei compiti, quelli della mia “dolce metà” (e il termine metà gli si addice più che mai in questo momento…).
Uno dei modi migliori che ho trovato per riuscire a concedermi il lusso di starmene seduta è lavorare a maglia. Sto creando qualcosa e quindi, anche se non sto correndo a destra e sinistra, anche se lascio che la polvere si accumuli sugli scaffali, è per una buona causa. Oltretutto nel 99% dei casi sto creando qualcosa per i miei figli, il che rende la causa ancora più nobile.
Uno degli aspetti che preferisco di questa attività e che si puo’ svolgere contemporaneamente ad altre cose: richiede quel tanto di concentrazione che basta a mantenerci nel “qui e ora” ma permette comunque di sostenere una conversazione, di godersi un buon film, di badare ai bambini ecc. Per un’iperattiva come me è l’ideale.
Il lavoro a maglia, con i suoi movimenti regolari e ripetitivi, è come un mantra. Lo si ripete, ritmicamente, dimenticando i cattivi pensieri.
Ma il lavoro a maglia puo’ anche essere paragonato ai mandala che i monaci buddisti creano con la sabbia. Impiegano giorni, a volte mesi, o anche anni a creare un’immagine per poi, alla fine, distruggerla. In nome dell’impermanenza, del non attaccamento. E’ cio’ che mi dico quando, a causa di un errore o di una distrazione, sono obbligata a disfare un lavoro o una parte di esso. Ci vuole coraggio per disfare la propria creazione. Un tempo la cosa mi innervosiva profondamente. Oggi riesco a prendere un bel respiro e ad immedesimarmi nel monaco tibetano che distrugge il suo mandala. Per poi ricominciare.
Poi c’è la soddisfazione. La soddisfazione del creare, la soddisfazione di vedere il risultato dei propri sforzi o della propria creatività (che orgoglio creare un modello e poi realizzarlo!) ma, soprattutto, per quanto mi riguarda, la soddisfazione viene dalla gioia che vedo nei miei figli quando offro loro una delle mie creazioni, che loro apprezzano sempre.
La settimana scorsa mi sono fatta un paio di “scaldamani”. Li chiamo cosi’ perché non credo si possano definire guanti. I guanti no, non li so fare. Ma la mattina inizia a fare freddo, e quando porto i bambini a scuola (compito che fino a pochi giorni fa assolveva il papà) il volante della macchina è gelido… cosi’ ho creato questi “scaldamani” (due semplici rettangoli) con il cachemere avanzato da un progetto precedente.
Quando Leonardo li ha visti mi ha detto “anche noi abbiamo bisogno di guanti”. Gli ho detto “va bene” e ho pensato “dovro’ comprare dei guanti ai bambini”. Poi, tornata a casa, mi sono detta che, invece di andare in giro per negozi, avrei potuto sedermi in poltorona e cercare di inventare qualcosa. Il primo guantino ho dovuto disfarlo due volte ma alla fine ce l’ho fatta. Prima di sera i bambini avevano ognuno il loro paio di muffole, orgogliosamente create da mamma. Quando ho finalmente capito come dovevo fare, sorridevo beata dicendomi “non è possibile… non è possibile che sia cosi’ facile”. Ero davvero vicina all'”Illuminazione”.
Quando Leonardo e Gloria hanno visto i loro guantini erano pazzi di gioia. Ecco, si’, questo è il nirvana.Vedere i propri figli saltare di gioia per qualcosa che abbiamo creato per loro. Credo siano poche le cose che possono riscaldare di più il cuore di una mamma.
E poi c’è il bebé in arrivo. Creare delle cose per lei è un’esperienza molto più intensa (e riposante) che andare per negozi in cerca di tutine, berretti e copertine. Sarà per lei la prova del fatto che la sua mamma l’aspettava, e che le dedicava il suo tempo già prima che venisse al mondo. Per me, è un modo di trovare lo spazio e il tempo per lei, per questo nuovo membro della nostra famiglia. E’ un modo di sentirmi più vicina a lei. Perché se è vero che, fisicamente, non si puo’ essere più vicini di quanto lo siamo noi ora, la vita movimentata di una famiglia come la nostra fa si’ che spesso non si dia spazio alle sensazioni, e che un periodo magico come quello della gravidanza voli via senza che ce ne siamo resi conto. Quando tiro fuori i miei gomitoli di Merinos 8 (la mia lana preferita) color lavanda e lavoro alla copertina per la mia bimba, sto trascorrendo del tempo con lei, “tête a tête”.
Il lavoro a maglia come modo di prendersi cura dei propri cari, quindi. Una morbida sciarpa come una coccola, che scalderà i miei bambini durante la ricreazione. Una copertina come un abbraccio di mamma.
Ma il lavoro a maglia è anche un modo per somigliare alle donne e alle mamme di una volta. E’ stata mia nonna (steineriana senza saperlo) ad insegnarmi a lavorare a maglia da bambina. Lavorare a maglia è un modo per sentirsi più simili a quelle donne che si prendevano cura delle proprie famiglie a 360°, cosa che per molte mamme oggi, tra lavoro e impegni vari, non è possibile.