#ChangeForTheBetter e la mia Sfida da 15k
Nei mesi scorsi ho accettato la sfida lanciata da Kellogg’s, che chiedeva ad alcune blogger di mettersi alla prova, fissandosi un obiettivo e raccontando le varie tappe verso il raggiungimento dello stesso.
Presa dall’entusiasmo per la corsa, per i benefici che mi dava e per i progressi stupefacenti (stupefacenti per una trentottenne ex-sedentaria, niente di spettacolare, eh?) ho deciso di puntare sul raggiungimento dei 15 km di fila.
Tra gli alti e i bassi della vita di tutti i giorni, c’è stato un momento in cui ho creduto di non farcela. Devo dire che la cosa non mi sconfortava particolarmente: testare i propri limiti significa anche scoprire il livello oltre il quale il nostro corpo non è pronto ad andare. L’azienda, del resto, era interessata al racconto, all’esperienza, e non al raggiungimento effettivo dell’obiettivo. Non avevo quindi alcun tipo di pressione esterna. La pressione, invece, ce l’avevo in testa. In quella parte competitiva del mio cervello che non conoscevo e che è venuta fuori proprio da quando ho iniziato a correre. Negli ultimi mesi mi ero scontrata con l’ansia da prestazione, assolutamente in contrasto con i motivi per cui ho deciso di mettermi a correre regolarmente, ma che si era insinuata nella mia mente.
Ogni volta che uscivo a correre monitoravo le mie prestazioni e, a volte, mi capitava che la sensazione di benessere procurata dalla corsa fosse offuscata dalla delusione di una prestazione deludente. Ho deciso quindi di lasciare a casa cellulare, orologio, eccetera, e di continuare ad allenarmi semplicemente per il piacere di farlo. Ormai conosco i miei percorsi da 5 e 10 km, e ho continuato a farli senza chiedermi quanto tempo ci impiegavo e a quale velocità.
Nel frattempo avevo in ballo la sfida dei 15k e per l’occasione ho tirato fuori nuovamente lo sportwatch. Ho scelto una bellissima giornata di sole e il mio sfondo preferito: il lungomare. Tre, due, uno… via.
Credevo che avrei faticato solo una volta uscita dalla mia “comfort zone” di 10 km, e invece la corsa è stata durissima fin dal primo passo. Probabilmente il fatto di sapere che stavo per correre 15 km ha influito sul mio stato d’animo. La sensazione sgradevole dell’aria gelida che entrava nei miei polmoni durante i primi chilometri non ha facilitato la cosa.
Ma alla fine ce l’ho fatta. 15 km corsi ad un ritmo davvero sorprendente (sto sempre parlando della trentottenne che ormai corre da un anno). Forse avrei dovuto prenderla un po’ più con calma, fatto sta che è stata un’esperienza piuttosto sgradevole. Non ho ritrovato la sensazione di gioia sperimentata dopo i primi 5 e dopo i primi 10 km. Forse ho “spinto” troppo. Forse ho chiesto troppo al mio corpo. O forse, semplicemente, correre 15 km non è come correrne 5 o 10. Fatto sta che, contrariamente alle altre volte, non ho alcuna voglia di ripetere questo exploit. Non solo, mi sono passate tutte le fantasie di maratona e mezza maratona che inevitabilmente balenano nel cervello di un neo-runner entusiasta.
Testare i propri limiti significa anche capire quando è il momento di fermarsi. Per quanto mi riguarda, sono fiera e felice di aver corso 15 chilometri ma la mia distanza ideale resta tra i 5 e i 10. Probabilmente la stagione non aiuta, e magari in primavera avrò voglia di mettermi nuovamente alla prova. Per il momento ho capito che non sono un robot e che il mio corpo è pronto ad accogliere molte sfide, ma non tutte.
Con questa consapevolezza mi preparo ad un inverno fatto di yoga e di corsette tranquille, di quelle che mi fanno sentire bene.
Se anche voi avete testato i vostri limiti e avete voglia di condividere la vostra storia, raccontatemela nei commenti o twittatela utilizzando l’hashtag #ChangeForTheBetter.