Amore e Collera
Immagina di essere di notte su una barca a remi. Ad un certo punto un’altra barca urta la tua. Ti spaventi, poi ti metti ad imprecare contro il conducente della barca in questione. Guardando meglio ti accorgi che la barca è vuota. La collera improvvisamente scompare, e forse ti sentirai anche un po’ stupido per averla provata.
Questa storiella zen mi ha fatto molto riflettere. Nei giorni scorsi, poi, mi è successa una cosa davvero simile. Ma la barca non era vuota: al timone c’era qualcuno che amavo. Questa vicenda mi ha permesso di osservare da vicino la mancanza di imparzialità della mia mente e di lavorare sull’equanimità.
La storia
Uscendo da una lezione di yoga ho riacceso il telefono e ho trovato un messaggio dalla scuola che frequentano i miei figli. Le chiamate della scuola sono sempre abbastanza ansiogene per noi genitori. Stavo per richiamare quando il telefono è squillato. Era l’infermeria. I peggiori scenari si stavano manifestando nella mia mente. L’infermiera mi ha detto che Gloria aveva ricevuto in faccia un portachiavi con una chiave, lanciato in aria da un compagno. Aveva un grosso bernoccolo e un taglio sulla palpebra.
Sono corsa subito a prenderla e durante il tragitto, oltre alla paura e alla preoccupazione per mia figlia, è emerso il rancore verso il compagno responsabile, insieme a qualche commento sulla sua evidente stupidità.
Arrivata a scuola, l’infermiera mi ha portato Gloria e ho potuto constatare, con grande sollievo, che il taglio non era sulla palpebra ma vicino all’occhio, che però non era stato toccato. Era stata medicata e aveva del ghiaccio sulla fronte. Sembrava provata ma non piangeva, lei che di solito ci delizia con grandi vocalizzi al primo graffio.
L’infermiera mi ha detto che Gloria non voleva dire chi le avesse fatto male. L’unica cosa che ripeteva era “non l’ha fatto apposta”. Quando siamo rimaste sole le ho chiesto maggiori spiegazioni e lei mi ha detto il nome del ragazzino che aveva lanciato il portachiavi. Un caro amico, suo e di tutta la famiglia. Improvvisamente il mio rancore è scomparso, e ho attribuito l’incidente ad una svista, ad un gioco la cui pericolosità era stata sottovalutata, e non più alla stupidità del ragazzo, che conosco e amo.
Come in questi anni ho imparato a fare, osservavo la mia mente e la sua mancanza di obiettività. Se fosse stato un altro, mi sarei assicurata che la scuola prendesse le giuste misure disciplinari. L’affetto che provo per questo ragazzino, invece, ha fatto sì che non solo non glie ne volessi, ma che mi preoccupassi per lui. “Poverino” ho pensato “chissà come si starà sentendo male!”
Anche Gloria era in pensiero, e mi ha chiesto di chiamare la mamma del ragazzo per chiederle di non punirlo e assicurarle che si era trattato di un incidente.
Ovviamente siamo persone ragionevoli, e se anche fosse stato un altro, appurato il fatto che il ragazzo non intendeva far del male, non gli avremmo serbato rancore. Ma questa esperienza mi ha fatto riflettere su come la nostra percezione di ciò che accade sia condizionata dal nostro stato d’animo e dai nostri giudizi e pregiudizi.
Scoprendo che la barca è vuota, o che è guidata da una persona a cui vogliamo bene, la collera scompare istantaneamente. Sono sicura che, con un po’ di buona volontà, possiamo riuscire ad applicare questo processo anche alle persone che ci sono indifferenti e magari, un giorno a quelle che proprio non ci piacciono.
La tua esperienza
Cosa ne pensi? Ti è già successo qualcosa di simile? Come hai reagito?