Metagenealogia: un nome, un destino?
Un (bel) po’ di tempo fa parlavamo dei nomi, i nostri e quelli dei nostri figli, e di come questi possano influenzare la vita di chi li porta.
Un post che vi invito a leggere e commentare se non l’avete fatto allora. Leggendo «Metagenealogia – La famiglia, un tesoro e un tranello», uno splendido libro di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa, mi sono trovata nuovamente di fronte a questo tema, che mi è particolarmente caro.
Secondo l’autore «Il bambino si abitua al suono con cui si attira costantemente la sua attenzione, come farebbe un animale domestico. Finisce per incorporarlo nella propria esistenza come se fosse qualcosa di fisico. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il nome proprio è un concentrato delle aspirazioni del tranello famigliare.»
Leonardo (che significa «forte come un leone»), Gloria, Chiara… mi sembrano chiare le nostre aspirazioni. Ma allora cosa aveva in mente mia mamma quando ha scelto Claudia? Il significato del mio nome non è certo di buon auspicio. In realtà so che le ricordava una persona che ammirava molto ma ci ho messo un po’ di anni a «digerirlo».
«L’attribuzione del nome nasconde di frequente il desiderio di far rivivere gli antenati o di rimettere in causa il rapporto con i genitori ancora vivi. Il nome diventa allora un ulteriore segno, manifesto o camuffato, di appartenenza al clan, invece di designare la persona che è venuta al mondo come un essere specifico e unico.»
Beccata. Due dei nomi dei miei figli nascondono «omaggi» più o meno velati al mio «clan familiare». Sarà un fardello? L’unica che ha un nome non influenzato dalla famiglia è Gloria: dei tre la più libera, sfacciata, indipendente. Sarà un caso?
Sempre secondo Jodorowsky, il nome condiziona il bambino nella sua crescita ed evoluzione. Egli cerca infatti di soddisfare le aspettative che la famiglia ripone in lui, e che il suo nome spesso racchiude, anche a costo di trascurare le sue aspirazioni o di lacerarsi nel tentativo di soddisfare tutti.
La famiglia si aspetta che somigliamo a qualcuno che le appartiene. Questo forgia una sorta di «personalità acquisita» che ci allontana dalla nostra vera essenza.
In quanto genitori dovremmo quindi aiutare i nostri figli a diventare ciò che sono, liberandoli dai condizionamenti che (consciamente o meno) tendiamo ad imporre.
«Guarire è diventare quello che si è e non quello che gli altri hanno voluto farci essere»
Se non siamo capaci di accettare i nostri figli così come sono (e non come vorremmo che fossero) nemmeno loro saranno in grado di accettarsi. Se non siamo capaci di amarli, non sapranno amarsi.
Non male come responsabilità, eh?
Riusciremo a chiamare nostro figlio Leonardo e accettare che sia fragile e delicato? A lasciare che Gloria non emerga necessariamente e che Chiara abbia i suoi lati oscuri?
Tutte queste teorie possono sembrare piuttosto colpevolizzanti nei confronti dei genitori. Non è questa l’intenzione dell’autore (che affronta in questo libro moltissimi altri argomenti legati alla famiglia), che conclude dicendo che nel momento in cui noi riusciamo a «guarire» (a diventare, cioè, ciò che siamo) tutti i tranelli, gli abusi, gli errori presenti nel nostro albero genealogico acquistano un senso. Perché hanno contribuito a creare una persona libera, vera, con un alto grado di coscienza. Ed ecco che il tranello si trasforma in tesoro. Lavorando su noi stessi possiamo dare un senso a tutte le avventure e a tutte le sventure che le nostre famiglie d’origine hanno dovuto affrontare. Non è meraviglioso?
E voi, cosa ne pensate? Credete nel nome come «etichetta» che ci condiziona per tutta la vita? Cosa avete voluto trasmettere ai vostri figli attraverso il nome che avete scelto per loro? E qual era, secondo voi, la missione che i vostri genitori vi hanno affidato, scegliendo il vostro?