Invecchiando si peggiora?

Nella vita ci sono davvero poche certezze. Quelle che abbiamo sono, in genere, le “grandi verità” che ci sono state inculcate dai nostri genitori e si tratta spesso – in realtà – di loro pregiudizi e opinioni personali.

Una delle grandi verità di mia mamma è sempre stata questa:

“Invecchiando non si migliora; non si può che peggiorare”. 

Ho sentito ripetere questa frase così tante volte e per così tanto tempo che non mi sono mai sognata di confutarla. Finché non ho iniziato ad invecchiare io e non mi sono accorta di essere diventata una persona decisamente migliore.

La parte più superficiale: il fisico

A 20 anni ero una ragazza carina, come tante altre ragazze carine. E come tante altre ragazze carine non mi piacevo. Ora, quando riguardo le vecchie foto, vorrei tornare indietro nel tempo e prendermi a schiaffi.

Poi la vita mi ha tolto il tempo che dedicavo all’autocritica. Quando i miei figli erano piccoli (3×3 anni circa), non avevo nemmeno il tempo di guardarmi allo specchio. Di conseguenza mi sono inavvertitamente dimenticata dei miei principali complessi.

Yoga e meditazione mi hanno – nel frattempo – insegnato a voler bene a questo corpo che, seppur non perfetto, funziona molto bene, ha dato vita a tre meravigliose creature e mi porta a spasso per il mondo senza nessun problema.

Ma il fisico è solo la punta dell’iceberg. Il vero miglioramento è stato, negli anni, quello interiore.

Il perdono

Quando ero più giovane ero incapace di perdonare, e credevo che questo fosse un tratto invariabile del mio carattere. Portavo rancore a lungo e, sebbene non sia mai stata vendicativa, aspettavo con fiducia di veder passare “il cadavere del mio nemico”, chiunque egli fosse.

Poi un giorno ho ripensato ad una persona che mi ha terribilmente delusa e che avevo tutte le ragioni di odiare, e mi sono accorta che l’odio non c’era più. Da quando ho preso consapevolezza di questo fatto mi è diventato facilissimo, praticamente automatico, perdonare piccoli e grandi sgarri. Probabilmente anche in questo la pratica ha un ruolo, ma credo che la parte più grande sia semplicemente la consapevolezza che si acquisisce con l’esperienza di vita, magari sbagliando a nostra volta e venendo perdonati. O il fatto che la nostra vita si arricchisce di altre cose molto più importanti (vedi i figli, ad esempio) che ridimensionano problemi che in precedenza ci parevano enormi.

A vent’anni attribuivo la mia sofferenza alla persona che me l’aveva causata: un padre che decide di volatilizzarsi, un’amica che mi aveva manipolata, e così via. E da qui la sopracitata incapacità di perdonare. Ora so che la sofferenza è dentro di me, e che se non avessi alcuni “punti deboli” (causati, è vero, dal modo in cui ho vissuto alcune situazioni come l’abbandono ma pur sempre interni) non me la prenderei così tanto. So anche che ciascuno ha la sua sofferenza e che chi si comporta male sta dando libero corso alla sua. Mi viene in mente Kirikù che si chiede perché la strega Karabà sia cattiva. Il vecchio saggio gli risponde: “Perché soffre”. Invece di odiarla, cosa che avrebbe mille ragioni di fare, lui decide di liberarla da quella sofferenza. E istantaneamente la strega cambia.

Le regole

Da giovane ero estremamente ligia alle regole. Oggi ho imparato a romperle in modo creativo. A condizione di non danneggiare nessuno. Un esempio stupido? Posso parcheggiare in divieto di sosta, accettando il rischio della multa, ma MAI E POI MAI su un posto riservato ai disabili, in doppia fila o su un passo carraio. Posso scegliere di correre un rischio io, ma non mi permetterei mai di recare disturbo a qualcun altro. La ragazza bacchettona è diventata una donna “trasgressiva”, ma la trasgressione non sconfina mai sul territorio altrui.

Fragilità vs sensibilità

Ero e sono tuttora una persona ipersensibile. Questo significa che, quando soffro, soffro in modo molto più intenso rispetto alla media delle persone. Ma significa anche che quando sono felice, lo sono in maniera totale.

Purtroppo, negli anni, il fatto di avere la lacrima facile mi ha messa spesso in imbarazzo. Alcune persone si irrigidiscono e scappano di fronte ad una donna che piange. Mi è successo  una volta, tanti anni fa, che un uomo che amavo fuggisse di fronte alle mie lacrime perché mi riteneva una persona “fragile” e temeva di “rompermi”. In quell’occasione, ovviamente, ho sofferto come soffre un’ipersensibile: all’ennesima potenza. Oggi so che se un uomo ha voglia di scappare invece che di abbracciarmi quando piango, è meglio che se ne vada il più lontano possibile. Sensibilità non è sinonimo di fragilità. Io sono una persona ipersensibile ma ne ho passate tante e ne sono sempre venuta fuori a testa alta. Con gli occhi gonfi, ma a testa alta.

So che dal di fuori la mia vita sembra perfetta ed è stata una scelta precisa quella di raccontarne quasi esclusivamente la parte bella. Perché la scrittura è per me un esercizio di ottimismo. Devo ammettere di non potermi – razionalmente – lamentare, ma ho come tutti (anzi, in alcuni ambiti più della maggior parte delle persone) il mio bagaglio di sofferenze e la mia dose di cicatrici che regolarmente tornano a far male.

La capacità di adattamento

Da piccola detestavo dormire e facevo molta fatica ad addormentarmi. Avevo bisogno di un letto comodo, del silenzio assoluto e dell’oscurità totale. In seguito, i miei figli mi hanno privata del sonno al punto da riuscire ad approfittare di qualsiasi momento e di qualsiasi situazione per recuperarne un po’. I viaggi hanno fatto il resto. Ora posso dormire per terra, su un treno, in un motel scadente a bordo strada. La voglia di scoprire il mondo mi ha insegnato ad adattarmi e non rompo più le scatole come quando da bambina obbligavo i miei ospiti a togliere le pile da eventuali orologi che si trovassero ad un raggio di 10 km dalla stanza in cui avrei dovuto dormire. Ah, ho anche scoperto i tappi per le orecchie!

Questo è un punto del quale ho discusso recentemente con mia mamma. Lei sosteneva che, come tutto il resto, la capacità di adattamento diminuisse irrimediabilmente con il passare degli anni. Questa era una delle sue scuse per non viaggiare: avrebbe sicuramente dormito male, mangiato male, eccetera.

Poi l’ho presa e me la sono portata negli USA. Abbiamo dormito benissimo in hotel belli e in altri meno, e mangiato tranquillamente al ristorante chic di Soho come al chiosco degli hot dog in Times Square. E adesso come la mettiamo? Che la voglia di scoprire il mondo stia ammorbidendo anche le sue, di certezze?

Il cambiamento sei tu

Morale della favola? Mia madre aveva in parte ragione: se non fai niente per evitarlo, invecchiando peggiorerai. Se invece lavori, come un instancabile giardiniere, per correggere i tuoi difetti e “concimare” le tue qualità, allora il corso della tua vita avrà un senso e in ogni fase della stessa troverai nuovi stimoli e nuove ragioni per cui gioire.

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