Perché mettiamo i bambini a dormire da soli?

In un articolo sul Los Angeles Times Benjamin Reiss* parla del modo in cui molte famiglie moderne educano i propri figli al sonno, esigendo che il bambino vada nella sua cameretta e che ci resti tutta la notte. Non solo: di come la società moderna abbia elaborato tecniche ben precise volte a supportare questo aspetto – apparentemente essenziale – dello sviluppo del bambino. Il prezzo da pagare, in termini di stress, è alto.

Per i genitori si tratta di prendere terribili decisioni sul se, come e quando riconfortare un bambino che piange, stabilire turni, accordarsi sulle modalità sopra descritte e avere la lucidità di mettere in atto ciò che si è stabilito dopo essere stati svegliati di soprassalto nel cuore della notte. Per i bambini c’è la paura del buio e della solitudine, oltre alla frustrazione evidente dei genitori che cercano di farli dormire anche se non hanno sonno.

Ma perché – si chiede Reiss – ci sottoponiamo a tutto questo?

Come nasce questa esigenza

Questa abitudine nasce in Europa e nel Nord America nel diciannovesimo secolo. Fino ad allora, anche nelle famiglie più benestanti e che avevano tante stanze a disposizione, i bambini dormivano tutti insieme, con i genitori o con la balia. Nelle società occidentali, con lo sviluppo dell’industria e dell’economia, la privacy notturna è diventata un segno di «civilizzazione» una sorta di status symbol

All’epoca dei pionieri, quando diverse famiglie si ritrovavano a dormire insieme in stanze poco arieggiate, le malattie si diffondevano velocemente. Per questo nel 1851 il Parlamento approvò un decreto che stabiliva, tra le altre norme igieniche per le abitazioni, la necessità di mantenere un certo livello di privacy.

Ma le ragioni non erano soltanto sanitarie: si trattava anche, per gli europei, di differenziarsi dai «selvaggi», che dormivano tutti insieme. Con il consolidarsi di questa nuova abitudine, il dormire tutti in una stanza divenne segno di povertà e di arretratezza. Ma come abituare i bambini a dormire da soli? Ecco che il concetto di «addestramento» si sostituisce a quello di «bonding».

Nel 1985 il Dottor Richard Ferber consigliava ai genitori di scegliere la modalità che ritenessero più adatta alla propria famiglia, ricordando loro – però – che le culture che praticano il co-sleeping sono quelle più primitive ed arretrate… insomma, inferiori.

Impatto emotivo e ambientale

Ovviamente – sottolinea Reiss – ci sono anche dei vantaggi nella soluzione delle camere separate: maggiore intimità per i genitori, facilità di organizzazione nel rispetto dei ritmi di ciascuno, letti adatti alle esigenze del bambino, eccetera. Lui stesso ammette di aver insegnato ai suoi figli a dormire da soli. «All’epoca» scrive «sembrava essere l’unica cosa sensata da fare». Invece ci sono vantaggi economici, ambientali ed emotivi nel dormire insieme. “Allargarsi” significa aver bisogno di case più grandi più costose e più energivore. Ed ecco che il nostro sonno ha un forte inmpatto ambientale. Lungi dall’essere una pratica arretrata, il co-sleeping è in realtà, tra le altre cose, una scelta eco-sostenibile.

E poi, non dimentichiamo che dal “Fai sta c**o di nanna!” al “Fuori dalla mia camera!” il passo è breve: davvero vogliamo separarci così in fretta dai nostri bambini? In quanto mamma di due adolescenti, posso testimoniare che il tempo che abbiamo da passare insieme trascorre davvero in fretta. Inoltre, secondo gli antropologi Carol Worthman and Ryan Brown, nelle società che praticano il co-sleeping le famiglie sono più unite e ci sono meno conflitti intergenerazionali.

La porta della stanza di mio figlio Leonardo (14 anni): “NON ENTRARE – se è chiuso ci sarà un motivo”

«Se educassimo i nostri figli a vivere insieme agli altri, forse imparerebbero a condividere invece che a barricarsi; a preoccuparsi degli altri e non solo di sé stessi». Conclude Reiss.

La tua opinione

Cosa ne pensi? Per quanto mi riguarda, quella del co-sleeping è stata una scelta forzata: i condizionamenti esterni erano forti e l’inesperienza mi rendeva estremamente insicura. Con il senno di poi, sono felice che i miei figli mi abbiano “obbligata” a tenerli nel lettone.

Come ho già scritto in passato, se li avessi messi in cameretta e avessero dormito tranquilli, non sarei certo andata a scomodarli, ma le cose non sono andate così, e alla fine non tutto il male viene per nuocere.

Come vanno le cose in casa tua? I bambini dormono da soli serenamente? O avete optato per il co-sleeping?

 

*Benjamin Reiss è professore universitario e autore – tra gli altri – del libro “Wild Nights – How taming sleep created our restless world“, nel quale affronta il tema di come la moderna ossessione per il sonno, che secondo molti specialisti dovrebbe rispondere a determinate caratteristiche (8 ore di fila, in una stanza ben precisa, bambini separati dai genitori…) e la medicalizzazione a cui spesso ricorriamo per far rientrare le nostre abitudini di sonno entro questi criteri, abbia creato in realtà una società di persone sempre stanche, incapaci di riposarsi davvero. Leggi l’articolo di Reiss sul LA Times.